LUCCHINI: TUTTO BENE QUEL CHE FINISCE BENE?
Tutti dimessi lunedì mattina dal pronto soccorso di Villamarina, i sei operai Lucchini infortunati domenica 19 luglio per l’esplosione causata dallo sversamento di una parte di scorie da una siviera carica di acciaio liquido nel reparto convertitori, che poi sono entrate a contatto diretto con dell’ acqua che era presente nel reparto.
L’onda d’urto causata dalla forte esplosione verso le 22,30, ha fatto alzare una densa nube nerastra (forse anche a causa di un principio d’incendio) della polvere presente nello stabilimento dalla Lucchini. Porte e finestre dell’intero quartiere intorno alla fabbrica hanno tremato, alcune si sono infrante.
Secondo la ricostruzione dei fatti dopo l’esplosione il reparto si è subito saturato di gas e polvere, e i cinque lavoratori sono rimasti intossicati. Un altro lavoratore, forse più vicino alla siviera esplosa, ha riportato invece un trauma toracico. Tutti sono stati trattenuti in ospedale per la notte, ma nessuno da subito sembrava in gravi condizioni. In città, comunque, lo spavento è stato fortissimo perché per l’esplosione sono saltati i vetri delle finestre anche di alcune auto in sosta. Sono subito arrivate le ambulanze e la polizia per i rilievi, e le indagini sul fatto sono attualmente in corso.
L’inchiesta del servizio di prevenzione dell’Asl per comprendere le cause dell’incidente, dai primi accertamenti sembra confermare le tesi sostenute dai sindacati. Il dipendente che ha preso la decisione di adagiare la paiola a terra, la riteneva forse più fredda di quanto in realtà era, ma sarebbe stato possibile per lui possibile prendere una decisione diversa?
In quel momento, sembra infatti dalle indagini in corso, che non ci fossero vagoni disponibili dove poter appoggiare la paiola. E anche i due stalli, dove vengono collocate in verticale, in attesa di essere trasferite sui vagoni, erano già occupati. Una decisione quindi quasi “obbligata” che purtroppo ha dovuto fare i conti con un altro imprevisto. Nel luogo dove la siviera è stata appoggiata – per motivi ancora da accertare – si era infatti formata una pozza d’acqua che ha provocato la reazione esplosiva.
«La Lucchini, in seguito alla crisi in atto – secondo quanto sostengono alla Rsu – fino ad una decina di giorni fa aveva ridotto le colate giornaliere, diminuendo del 30% il lavoro alle ditte che si occupano della pulizia delle paiole. Ma l’imminente chiusura dell’altoforno, che coincide con una piccola ripresa degli ordinativi, ha fatto passare il numero delle colate giornaliere da 36 ad una media di 45, mentre organici e mezzi sono rimasti gli stessi. Tutto questo ovviamente incide sulla sicurezza».
Per quanto riguarda le polemiche invece sul fatto che l’allarme di emergenza per la popolazione non ha suonato e semplicemente perché questo tipo d’incidente non rientra tra quelli previsti nel piano “Grandi Rischi”. La sirena avrebbe provocato il panico e situazioni di ulteriore pericolo ingiustificato nella popolazione. Il sistema é stato però carente per la mancanza di un sistema di informazione per la popolazione, che l’azienda dopo quanto avvenuto, sta pensando di attivare per gli incidenti minori probabilmente tramite l’istallazione di altoparlanti. L’Arpat, per quanto riguarda la salute pubblica, ha confermato che nessuna delle centraline ha rilevato dati superiori alla media, con nessun tipo di rischio quindi per la salute della popolazione civile.
Tutto bene quel che finisce bene quindi? Questa volta sì, ma il fatto che non ci sia “scappato il morto” per cause tutto sommato fortuite deve ricordare una volta di più alla Lucchini, e non solo a questa azienda, che la sicurezza e l’incolumità dei lavoratori deve essere sempre missione primaria, specie nei periodi di crisi in cui la ricerca del massimo utile al minimo costo, ricetta ormai obbligatoria per restare su un mercato ormai globalizzato, sembra essere diventato il primario motivo di esistere per quasi tutte le imprese italiane.