«RICETTE CORSARE», PER NON NAUFRAGARE IN CUCINA – 88

Ottantottesimo appuntamento con la rubrica di cucina del Corriere degli Etruschi «Ricette Corsare» curata con passione dal nostro esperto Emilio Guardavilla. La rubrica presenta ogni settimana alcuni aneddoti tratti dalla vita dell’autore e un menù completo tutto da gustare.

RICETTE CORSARE


Rubrica di intuizioni culinarie e percorsi introspettivi per non naufragare in cucina. A cura di Emilio Guardavilla.

Prima di incontrare il Marga dall’altra parte del mondo avevo navigato poco e, con la ragion veduta da occhi rugosi da polpo troppo bollito, male. Più che altro imbarchi di breve durata su piccole navi impiegate su piccole rotte in piccoli mari. Ero piccolo anche io, per dirla tutta. Di età ma non di statura anche se magro e poco scafato come dicevano i più. Una barba morbida e stenta prometteva tempi migliori su una carnagione olivastra anche in inverno pieno. Il capello curato e le basette coltivate giorno per giorno facevano pensare a qualcuno imbarcato lì sopra per l’errore di qualcun altro. Lo sguardo perso  perennemente altrove suscitava le migliori ilarità di quella generazione di naviganti che le navi le chiamava ancora vapori anche se la propulsione si era evoluta da tempo e di molto. Il tutto supportato da fisico da ragioniere in cui la muscolatura non la notava nessuno. L’assenza di tatuaggi in bella mostra o campanelle ad adornare il lobo sinistro parlava di un passato recente su un banco di scuola in prima fila e di una cameretta dotata di tutti i comfort. Mozzo di coperta, la qualifica, fuori e dentro. Percepivo di continuo la sensazione che la mia matricola con così pochi timbri da poter essere scambiata per il retro di una cartolina postale fosse pubblicata su tutti i giornali nazionali e che l’intero equipaggio ne fosse al corrente. Lo si vedeva da miglia di distanza. Li vedevo come gente di un altro mondo capace di nascondere con crudele efficacia le emozioni del presente e le esperienze del già vissuto; loro mi vedevano come un sovrannumero imbarcato a viaggio, adottato in una grande famiglia dove non avevo nessun parente. Si facevano scommesse su quale porto sarei stato in grado di arrivare. In ogni caso pochi furono sgarbati o irrispettosi mentre i più gentili mi chiesero il perché della mia presenza senza aspettare la risposta. Il motivo non lo sapevo allora ma ero certo che dopo avrei capito


349) Cetriolini poverelli

Categoria: antipasto

Ingredienti: cetrioli – cuscus – peperoncino in polvere – cipollotto – acciughe sotto sale e fresche – peperone giallo e peperone rosso – olio d’oliva – limone.

Preparazione: dopo aver pulito bene le acciughe mettile a marinare per un’ora sana con succo di limone, olio, sale, prezzemolo e peperoncino. Ora monda i cetrioli, tagliali a metà nel senso della lunghezza e, dopo aver tolto i semi, tagliali a tocchi; cospargili di sale e lasciali riposare. Quindi versa l’acqua calda nel cuscus e fallo gonfiare per circa dieci minuti; arricchiscilo con prezzemolo tritato, cipollotto ridotto a fettine, i peperoni a dadini e un trito di filetti di acciuga dissalati sotto acqua corrente. Sale solo se te lo chiede. Dopo aver mescolato adeguatamente il composto lo puoi usare per riempire i cetrioli. Adagiali su un vassoio adeguato e guarniscine ognuno con un acciuga marinata.

Punto esclamativo: limone grattugiato nel cuscus.

Valore aggiunto: “a volte oggi è già domani”.

Pensai subito che loro, al contrario di me, erano lì sopra per una scelta ponderata e maturata tra le varie alternative possibili, svariate, più o meno allettanti e comunque sempre disponibili come valido ripiego. Avevano scelto di appartenere per lunghi periodi della loro vita a  piccole comunità avulse dal sociale, sempre lontane dal mondo; eterogenee per estrazioni e culture, lingue e abitudini, passati e futuri inventati sul momento. Un’aggregazione illogica e irrazionale di personalità che mi sembrarono azzeccate per la loro funzione ma troppo diverse l’una dall’altra per appartenere così indissolubilmente alla stessa causa. Un insieme di poche decine di unità raggruppate da qualcosa che non riuscivo a intuire, definito e chiuso ad elementi esterni o transitori come chi arruolato con un contratto a viaggio. Il confine invalicabile lo segnavano un gergo a me  incomprensibile, delle usanze che ritenevo fuori da ogni logica, atteggiamenti inconsueti ed anacronistici tanto da farmene meravigliare di continuo. Ciò che più mi stupiva e mi imponeva domande sempre più profonde era la normalità con cui affrontavano una realtà di fatto non normale. Dormire alcune ore di notte e altre di giorno, mangiare ad orari che avevo visto osservare soltanto negli ospedali e soprattutto consumare quei pasti ad una tavola che la maggior parte delle volte non stava mai ferma sotto gli avambracci. Dormire legati al letto, pregare più volte al giorno, ascoltare le partite di calcio alla radio; accendere le sigarette con entrambe le mani come se il vento soffiasse anche sottocoperta, fare il bucato solo nei giorni dispari. Non cucinare mai i ceci e non menzionare per nessun motivo gli ombrelli. La prima ed unica volta che involontariamente mi sono appoggiato ad una paratia dando le spalle alla prua sono stato trattato come un sacrilego senza sapere quale divinità avessi bestemmiato.


350) Penne al pesto Mon Amour

Categoria: primo piatto

Ingredienti: pesce lesso – olio d’oliva – basilico – pecorino – pinoli – aglio – parmigiano.

Preparazione: trattasi, nel bene e nel male, di una variante sperimentalista ed azzardata del pesto alla genovese, rivisto e corretto in chiave salmastra, se questo termine ci è concesso. Allo stesso modo si può anche affermare che tale piatto ha già raccolto consensi in tempi e luoghi diversi facendo parlare a lungo si sé. Per la preparazione si parte da una ricca frullata di tutti gli ingredienti del pesto vale a dire basilico, sale grosso, aglio sbucciato e privato delle animelle, pinoli, pecorino e parmigiano. Il tutto sotto un continuo filo d’olio dalla portata piuttosto elevata. Una volta ottenuta la densità di materia desiderata deve riposare per almeno venti minuti. Il pesce, dal canto suo lessato e trattato nella sede adeguata, verrà aggiunto al condimento solo nella fase finale dell’allestimento.

Punto esclamativo: per il pesce lesso mi auguro di cuore che la scelta ricada sul merluzzo.

Valore aggiunto: ma se oggi è già domani, allora domani è già dopodomani, dico io.

In quei primi imbarchi che nell’insieme coprivano meno di due anni solari sono diventato vecchio. Oltre a tutte le superstizioni di un intero continente ho imparato che le convivenze in spazi stretti hanno gli stessi pro e contro delle solitudini in spazi larghi. Mi sono abituato al silenzio di giorni interi e alle lacrime di notti spezzettate dal mare; a volti con la stessa espressione per una  settimana e a mantenere la stessa espressione per una settimana. Ho creduto di dimenticare il suono della mia voce e quello di chi avevo lasciato lontano; per poi udirle all’improvviso, nettamente, l’una e l’altra, quando invece non c’era chi in effetti parlasse. Ho gioito per questo ed altre cose che ho inventato solo per il mio tornaconto emotivo, per farmi contento. Mi sono spiegato a parole mie che la lontananza avvicina e che la vicinanza allontana e spesso ci ho creduto. Ho voluto credere che quattro mesi cosa vuoi che siano, il peggio viene dopo. E poi ho imparato a fare il bucato e a rammendare, a parlare da solo e vomitare, a imprecare in altre lingue perché non sembra peccato e a pisciare seduto come le donne. Senza nessuno si può stare, ho concluso a prescindere dal tipo di relazione che con esso si è scelto o si è costretti ad intrattenere. Ho imparato a mangiare il pesce crudo e il cetriolo che sembra di mangiare la buccia dell’anguria ma ora non più. Ho riso della paura, la mia, e ho avuto paura della paura degli altri. Sono stato educato con tutti. Ho letto riviste di un anno prima e visto film di una vita prima; ho ascoltato racconti di tante vite prima. Mi sono innamorato di nessuno e sono stato corrisposto con la stessa intensità e passione. Sono riuscito a dormire seduto in bagno e in piedi sotto l’acqua piovana. Ho camminato con gambe che non mi appartenevano su un pezzo di ferro che mi sembrava sempre più mio. Mi sono rammaricato che non ci fosse nessuno che mi vedesse ma poi gli avrei raccontato tutto.


351) Coda di rospo Fedora

Categoria: secondo piatto

Ingredienti: cipolla – sedano – carota – coda di rospo – burro – farina – limone – panna – emmenthal.

Preparazione: porta ad ebollizione l’acqua contenuta in una pentola con la cipolla tagliata ad anelli, il sedano e la carota a tocchetti, una fettina di limone, sale e pepe. Immergi il pesce sfilettato e lascia cuocere per altri venti minuti prima di collocarlo soavemente in una pirofila imburrata. A parte sciogli il burro e fai tostare la farina diluendo di quando in quando con il sugo di cottura del pesce e da ultimo con la panna. Versa il tutto sul pesce, cospargi di emmenthal grattugiato e inforna per qualche minuto al fine di ottenere quella gratin che farà la differenza.

Punto esclamativo: il sugo di cottura va gestito oculatamente.

Valore aggiunto: vespasiano sì, vespasiano no. Parliamone nella sede opportuna.

A terra ho raccontato e sono stato ascoltato; anche creduto per la maggior parte degli argomenti trattati. Il repertorio, limitato ma avvincente per gente di acqua dolce, ha catturato attenzioni e suscitato curiosità innocenti risolvendo conversazioni altrimenti consuete di serate scontate. Dapprima. Poi sono venute meno la voglia di ascoltare e la voglia di raccontare. Un riflesso obbiettivamente incondizionato ha fatto venir meno anche quella di parlare oltre il necessario. In un secondo momento si è ridotta in maniera drastica anche la capacità di esternare le emozioni anche più devastanti, belle e brutte senza distinzione di sorta. Una faccia sempre uguale a se stessa, una ed una soltanto per le mille occasioni che si posso presentare anche senza preavviso. Matrimonio o funerale, giornata di sole o di pioggia, melanzane alla parmigiana o pastina in brodo. Con la più bella del quartiere o con lo scemo del villaggio. Le parole, sempre più centellinate, dilazionate da richieste precise; poche ma mirate e studiate nella loro sequenza espositiva. Se per suscitare interesse o per farlo sopire nell’interlocutore non è mai stato possibile interpretarlo. Da scelta comportamentale si è trasformata in breve nella caratteristica predominante del personaggio, spontanea come se fosse un tratto ereditario perpetratosi di generazione in generazione. Da Spagna ’82 tutti mi chiamano Lo Zitto.


352) Frittelle Capo Passero

Categoria: dessert

Ingredienti: farina – lievito – zucchero – uova – limone – uvetta – arancia – latte – vino bianco.

Preparazione: sciogli il lievito in un bicchiere di latte tiepido. Dopodiché mescola con la farina, le uova, lo zucchero, le scorze grattugiate di limone e arancia, il vino e un pizzico di sale. Copri e metti a lievitare per un’ora. Nel frattempo avrai messo l’uvetta a rinvenire nel vino bianco rimasto ed avrà assunto dei connotati del tutto nuovi. Incorporala al composto e procedi alla frittura.

Punto esclamativo: un po’ di grappa dopo la lievitazione non guasterà.

Valore aggiunto: Naranjito è stata una delle mascotte più indovinate nella storia del calcio.


Dai retta, ché io ai fornelli gli do del “tu”.

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Emilio Guardavilla risiede e vive a Piombino insieme ad altre
trentaquattromila persone circa.
Come tutti gli altri ci lavora e ci coltiva le proprie inclinazioni, nel suo
caso la lettura e la cucina.
E come gli altri respira quell’aria di mare che ha la stessa valenza chimica
per l’organismo dell’ossigeno o dell’azoto. Sognatore instancabile,
concepisce costantemente progetti di ogni genere a breve, media e lunga
scadenza senza abbandonarne neanche uno.

http://www.emilioguardavilla.it

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Scritto da il 3.3.2011. Registrato sotto cucina, Foto, ultime_notizie. Puoi seguire la discussione attraverso RSS 2.0. Puoi lasciare un commento o seguire la discussione

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