CARLO CIATTINI, NUOVO VESCOVO DI MASSA MARITIMA-PIOMBINO
Sabato 5 marzo a Massa Marittima fedeli provenienti da tutta la diocesi per celebrare l’ingresso del nuovo vescovo Carlo Ciattini che Subito dopo il suo arrivo a MAssa Marittima, prima di entrare in cattedrale, ha ricevuto in piazza Garibaldi il saluto ufficiale del sindaco Lidia Bai che ha fatto dono al presule a nome della collettività massetana di un’artistica croce pettorale. Sempre fuori dalla cattedrale il vescovo Ciattini ha ricevuto il saluto del Prefetto di Grosseto Giuseppe Linardi e del Capitano della Società dei Terzieri Luano Cenni.
Intanto dentro la basilica attendevano il nuovo Vescovo tantissimi fedeli, provenienti da tutte le comunità diocesane, e anche da San Miniato e da Cerreto Guidi, città natale del nuovo pastore massetano, e poi autorità civili e militari, rappresentanti delle Province di Grosseto, Livorno e Pisa, sindaci dei Comuni compresi nel vasto territorio della Diocesi di Massa Marittima-Piombino con i rispettivi gonfaloni. Naturalmente non potevano mancare i figuranti in costume della Società dei Terzieri con gli sbandieratori che si sono trovati in ottima compagnia con i «colleghi» del gruppo Caracosta di Cerreto Guidi.
Fra i presenti spiccavano i rappresentanti dei Cavalieri dell’Ordine di S.Sepolcro e di quelli Teutonici di Santa Maria di Gerusalemme. Presenti inoltre l’arcivescovo metropolita di Siena Antonio Buoncristiani, il vescovo Santucci che ora guida la diocesi di Massa Carrara, il vescovo Tardelli di S.Miniato, il vescovo Agostinelli di Grosseto, Bassetti di Perugia, Bertelli emerito di Volterra, Borghetti di Pitigliano, Meini di Fiesole e oltre cento fra presbiteri, religiosi, religiose e diaconi. E’ stato materialmente impossibile accogliere tutta questa folla nella pur capiente Basilica Cattedrale di S.Cerbone, che per l’occasione era piena di fedeli quasi oltre le proprie capacità.
Il nuovo vescovo Carlo Ciattini, ha immediatamente fatto presa sulla gente alla luce della schiettezza con cui nella lunga omelia (che riportiamo integralmene al termine dell’articolo) ha affrontato nei punti principali i rapporti fra Chiesa e Società. «Carissimi — ha esordito — eccomi a voi e riprendiamo il nostro cammino nella storia e nell’eternità nel nome del Signore».
IL Vescovo ha colto l’occasone per annunciare l’apertura del Sinodo Diocesano, non effettuato per il trasferimento del vescovo Santucci, previsto per l’autunno del 2013. Monsignor Carlo Ciattini ha quindi evidenziato come «la Chiesa debba essere sempre in ascolto, annunciare e seminare la Parola», il vescovo ha poi cambiato argomento passando a commentare la grave situazione attuale in Africa che, ha detto, «potrebbe un domani ripetersi anche in Europa, se non c’è l’incontro con Cristo senza il quale diventeremo discepoli di mercenari e di disonesti».
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Ma quale è la storia del nuovo Vescovo di Massa Marittima?
Carlo Ciattini, il 106° vescovo della diocesi di MAssa Marittima – Piombino, è nato a Cerreto Guidi il 20 marzo 1951. Dopo il diploma al Commerciale di Empoli ha frequentato la facoltà di Giurisprudenza a Firenze. Parallelamente agli impegni universitari ha lavorato come addetto alle pubbliche relazioni in diverse aziende e associazioni industriali come responsabile del settore esteri. Ha adempiuto gli obblighi di leva dapprima presso la Scuola Militare di Paracadutismo di Pisa in qualità di addetto all’Ufficio Comando e poi al Distretto Militare di Firenze come addetto all’Ufficio Disciplina, si è congedato nel 1978.
Alunno dell’Almo Collegio Capranica di Roma ha conseguito alla Pontificia Università Lateranense la laurea in Filosofia e Teologia e il dottorato in Diritto Canonico. Ordinato sacerdote per la Diocesi di S.Miniato il 14 maggio 1989 ha esercitato il suo primo ministero pastorale a Poggio Tempesti fino al 1995 allorchè venne nominato parroco della Chiesa di S.Pietro Apostolo a La Scala e amministratore parrocchiale della Chiesa di S.Lorenzo a Nocicchio in S.Miniato. E’ socio della Fondazione Cassa di Risparmio di S.Miniato e membro del Consiglio di Amministrazione della Fondazione dell’Istituto del Dramma Popolare.
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Omelia di S.Ecc.Mons. Carlo Ciattini del 5 Marzo 2011
Saluto agli eccellentissimi vescovi,
Carissimi fratelli e sorelle,
eccomi a voi!
Ed ora, insieme, riprendiamo il nostro cammino, nel tempo e nella storia, verso l’eternità.
Il Signore è con noi, nostro compagno di viaggio: presenza viva, vera, reale. Presenza che ci fa suoi intimi, partecipi della comunione con Lui.
Dalla prima lettura, tratta dal Libro del Deuteronomio, abbiamo ascoltato come “Mosè parlò al popolo dicendo: «Porrete nel cuore e nell’anima queste mie parole» (11,18)”. Quali parole? Le parole della legge antica, le dieci parole, i comandamenti che devono essere posti nel cuore e nell’anima di ogni uomo. Ma come è possibile questo? Dove ciò è realmente accaduto? Dove continua ad accadere?
Carissimi, il momento formidabile, unico, santissimo in cui si è realizzato questo porre nel cuore e nell’anima la Parola del Signore è stato il momento dell’Annunciazione, allorché Maria, la Vergine Madre, ha accolto la Parola nella profondità del suo essere, delle sue viscere. Vedete, il Popolo Santo di Dio invoca Maria come Arca dell’alleanza, richiamando l’antica Arca dell’Alleanza costruita per custodire le dieci parole, i comandamenti. Ora, in Maria, abbiamo la vera e definitiva Arca dell’Alleanza, poiché in Lei si è fatta carne la Parola di Dio: Gesù Cristo, il frutto benedetto del suo seno e lo porta nel mondo, offrendolo ad ogni uomo.
L’obbedienza ai comandi del Signore per il popolo dell’Antica Alleanza era faticoso e arido cammino per ottenere in eredità la benedizione. Ora, per avere in eredità la benedizione dobbiamo accogliere Gesù Cristo fatto uomo per opera dello Spirito Santo e nato da Maria (cfr. Pregh Eucar. II Prefazio), ascoltare la Sua Parola e credere in Lui. Ce lo ha detto l’Apostolo Paolo nella seconda lettura appena ascoltata, allorché scrivendo ai Romani afferma: “Ora invece, indipendentemente dalla legge, si è manifestata la giustizia di Dio, testimoniata dalla legge e dai profeti; giustizia di Dio per mezzo della fede in Gesù Cristo, per tutti quelli che credono. […] È Lui che Dio ha stabilito apertamente come strumento di espiazione, per mezzo della fede, nel suo sangue (3, 21-22.25)”.
Sant’Agostino, Beda il Venerabile, Isacco della Stella avevano in qualche modo anticipato quanto è stato poi ricordato e definito dai Padri conciliari, e cioè, come “la Chiesa contemplando la santità misteriosa della Vergine, imitandone la carità e adempiendo fedelmente la volontà del Padre, per mezzo della parola di Dio accolta con fedeltà diventa essa pure madre, poiché con la predicazione e il battesimo genera a una vita nuova e immortale i figli, concepiti ad opera dello Spirito Santo e nati da Dio” (Lumen Gentium, n. 64).
La Chiesa, allora, attraverso la predicazione e la celebrazione dei sacramenti, è chiamata ad annunciare, a seminare la Parola nel cuore e nell’anima dell’umanità, perché ogni uomo possa mangiare e godere i frutti della benedizione e perciò della redenzione, della salvezza. Un gettare le reti nel mare del mondo. E “le reti che siamo chiamati a gettare tra gli uomini”, come ricordava il Servo di Dio Giovanni Paolo II ai vescovi di tutta la terra, “sono anzitutto i Sacramenti, di cui siamo i principali dispensatori, regolatori, custodi e promotori. Essi formano una sorta di rete salvifica, che libera dal male e conduce alla pienezza della vita” (Esort. Ap. Post.Sinod. Pastores Gregis, n.5).
Ciò premesso ci dice, ci raccomanda, ci esorta a porre al centro delle nostre scelte pastorali, prima di ogni altra proposta o programma, la celebrazione fedele, attenta, responsabile dell’Anno liturgico, alfabeto, grammatica, linguaggio per annunciare, trasmettere e consegnare Dio al mondo.
Momento insostituibile perché i fedeli siano educati ad approfondire la loro conoscenza e la loro sequela di Cristo, fino a sperimentare quell’udire, quel vedere, quel contemplare, quel toccare il Verbo della vita, come ci dice Giovanni nella sua prima Lettera (1 Gv 1,1). Solo così si plasma in maniera autentica la nostra vita di fede. Non secondo schemi soggettivi, ma secondo il piano sacramentale della Chiesa, secondo un processo graduale, circolare, ciclico. La Chiesa è corpo, prima di tutto, non semplice organizzazione. Se non sperimentiamo la forza vitale che sgorga da Cristo, come da sorgente, e ci rende Sue membra vive, unendoci a Lui e poi ai fratelli, la nostra casa andrà in rovina. È Cristo la roccia su cui fondare la casa. Senza di Lui il soffiare dei venti, l’abbattersi della pioggia e lo straripamento dei fiumi, che sono le intemperie che caratterizzano il susseguirsi sia delle stagioni della storia del mondo, sia dei giorni burrascosi delle storie di ciascuno di noi, farà cadere la casa e la rovina sarà grande: ieri il vicino Oriente, le meravigliose comunità cristiane del nord Africa, domani la nostra Europa, sempre più smemorata e spensierata, con il suo vivere alla giornata, quasi irresponsabile verso il futuro dei suoi figli.
Dove attingere, dove trovare luce, da chi essere educati per vivere la Carità di Cristo verso gli ultimi se non da Lui, il Signore Gesù? Ce lo ha detto, continua a ripetercelo: “Io sono la vite, voi i tralci, chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla” (Gv 15,5). Il Suo insegnamento non è solo una Parola pronunciata e ascoltata, ma una Parola fatta carne che noi mangiamo e che ci nutre, che ci dà la forza per vivere la carità di Cristo e ci dona la vita eterna.
“Se è vero che la sacra liturgia non esaurisce tutta l’azione della Chiesa. Infatti, prima che gli uomini possano accostarsi alla liturgia, bisogna che siano chiamati alla fede e alla conversione […] Nondimeno la liturgia è il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e, al tempo stesso, la fonte da cui promana tutta la sua energia. […] La rinnovazione poi dell’alleanza di Dio con gli uomini nell’eucaristia introduce i fedeli nella pressante carità di Cristo e li infiamma con essa. Dalla liturgia, dunque, e particolarmente dall’eucaristia, deriva in noi, come da sorgente, la grazia, e si ottiene con la massima efficacia quella santificazione degli uomini nel Cristo e quella glorificazione di Dio, alla quale tendono, come a loro fine, tutte le altre attività della Chiesa” (cfr. Sacrosanctum Concilium, n.9-10).
Senza l’incontro con Cristo vivente in mezzo a noi, allontanandosi, come smemorati dal Pastore Grande che ha dato la vita per le sue pecore, dal Maestro buono, diverremmo discepoli di mercenari, di falsi maestri, nemici della croce, ghiotti del consenso a tutti i costi degli uomini, sensali disonesti di patti e contratti frutto di artificio e perversione. Spargeremmo semi camuffati, fatti passare per semenza di pace, di libertà, di verità, che solo una volta divenuti alberi manifesteranno i loro frutti velenosi e mortali. È proprio nel frequentare il Signore, nel vivere nel Signore che il cristiano acquista la capacità di discernere le tante proposte per un servizio autentico, generoso, fraterno verso l’uomo, per soccorrerlo nelle sue tante e diverse necessità, fuggendo ogni demagogia, ogni artificiosa ideologia. Il nostro tempo è aggredito dalle più diverse proposte che hanno la pretesa di “salvare” l’uomo, addirittura liberandolo dalla stoltezza del giogo scandaloso e folle della croce. Al proposito ci sembrano attualissime le parole di Paolo VI allorché del discernimento dei cristiani scriveva: “In questo rinnovato accostamento delle diverse ideologie, il cristiano attingerà alle sorgenti della sua fede e nell’insegnamento della Chiesa i principi e i criteri opportuni per evitare di lasciarsi sedurre e poi rinchiudere in un sistema, i cui limiti e il cui totalitarismo rischiano di apparirgli troppo tardi se egli non li ravvisa nelle loro radici. Al di là di ogni sistema, senza per questo omettere l’impegno concreto al servizio dei fratelli, egli affermerà, al centro stesso delle sue opzioni, l’originalità dell’apporto cristiano a vantaggio di una trasformazione positiva della società” (Octogesima Adveniens, n. 36).
In che consiste l’originalità dell’apporto cristiano a vantaggio di una trasformazione positiva della società se non nell’annunciare la vita eterna, la vita del mondo che verrà?
Dunque annunciare Cristo, perché solo Cristo ha parole di vita eterna (cfr. Gv. 6,68), come affermò un giorno l’Apostolo Pietro.
A distanza di venti secoli è sempre Pietro, oggi Benedetto XVI, che ci parla di vita eterna. Scrive il Santo Padre: “Senza la prospettiva di una vita eterna, il progresso umano in questo mondo rimane privo di respiro. Chiuso dentro la storia, esso è esposto al rischio di ridursi al solo incremento dell’avere; l’umanità perde così il coraggio di essere disponibile per i beni più alti, per le grandi e disinteressate iniziative sollecitate dalla carità universale. L’uomo non si sviluppa con le sole proprie forze, né lo sviluppo gli può essere semplicemente dato dall’esterno. […] Le istituzioni da sole non bastano, perché lo sviluppo umano integrale è anzitutto vocazione e, quindi, comporta una libera e solidale assunzione di responsabilità da parte di tutti. Un tale sviluppo richiede, inoltre, una visione trascendente della persona, ha bisogno di Dio: senza di Lui lo sviluppo o viene negato o viene affidato unicamente alle mani dell’uomo, che cade nella presunzione dell’auto-salvezza e finisce per promuovere uno sviluppo disumanizzato. D’altronde, solo l’incontro con Dio permette di non “vedere nell’altro sempre soltanto l’altro” , ma di riconoscere in lui l’immagine divina, giungendo così a scoprire veramente l’altro e a maturare un amore che “diventa cura dell’altro e per l’altro”( Caritas in eritate, n. 11).
Ecco la grande dignità dell’uomo, di ogni uomo: essere stato creato a immagine e somiglianza di Dio! Dobbiamo servire l’uomo! Ma noi non sappiamo! Non abbiamo né la luce per vedere i bisogni dell’altro e né la forza dell’amore per sostenere l’altro con le sue miserie, infermità, incapacità di dirci grazie. Dobbiamo ricevere da Cristo questa capacità di servire, dobbiamo stare con Lui. La forma più terribile di egoismo non è l’incapacità di dare, ma quella di ricevere! Lo sanno i genitori di fronte ai figli che rifiutano il loro amore. I coniugi che vedono naufragare il loro matrimonio perché l’uno non si lascia perdonare, accogliere, arricchire, guarire, dalla fedeltà ad ogni costo dell’altro. È il rifiuto che l’uomo ha fatto a Cristo, il Salvatore. Non abbiamo accolto la Salvezza, lo abbiamo crocifisso come un malfattore. Ecco l’egoismo più terribile di ogni altro! L’incapacità di ricevere! Chi non riceve da Dio non può dare: nemo dat quod non habet. Ma Lui è risorto dai morti, Lui entra a porte chiuse, scardina i portoni del nostro egoismo, della nostra mediocrità, del nostro peccato. Saltano chiavi e chiavistelli, come ci racconta bellamente l’icona pasquale del Cristo disceso agli inferi, e noi siamo liberati, rinnovati ogni giorno e, dal Suo perdono, ricreati per un nuovo inizio, un cammino di riconciliazione verso di Lui e verso i fratelli.
Ricchi di Lui dobbiamo servire lo sviluppo, la crescita, l’educazione dell’uomo, perché nel disegno di Dio, ogni uomo è chiamato a uno sviluppo, perché ogni vita è vocazione. È proprio questo fatto a legittimare l’intervento della Chiesa nelle problematiche dello sviluppo. Se esso riguardasse solo aspetti tecnici della vita dell’uomo, e non il senso del suo camminare nella storia assieme agli altri suoi fratelli, né l’individuazione della meta di tale cammino, la Chiesa non avrebbe titolo per parlarne(cfr. Caritas in veritate, n. 16).
Chiamati a collaborare con il Signore per soccorrere gli ultimi, noi cristiani dobbiamo caricarci in questo momento dei grandi e gravi problemi dell’educazione, della famiglia, delle antiche e nuove povertà, che avremo modo di affrontare specificatamente, con tutti voi, diletti figli e figlie della Chiesa di Massa Marittima, di Piombino e dell’Elba, nei mesi a venire, per poi farli oggetto, di un più attento e sistematico studio, in occasione del Sinodo indetto e appena aperto dal nostro carissimo e venerabile predecessore, il Vescovo Giovanni, e che riapriremo nell’autunno del 2013, se il Signore ce lo concederà.Il nostro tempo è complesso, problemi vecchi e nuovi emergono con prepotenza e ci prendono di sorpresa, l’aria che respiriamo è come di una vigilia di qualcosa che ci è dato appena di intravedere.
Di fronte a scenari umanamente tanto complessi per l’annuncio del Vangelo, torna quasi spontaneamente alla memoria il racconto della moltiplicazione dei pani narrata nei Vangeli. I discepoli espongono a Gesù le loro perplessità riguardo alla folla, che affamata della sua parola lo ha seguito sin nel deserto, e gli propongono: «Dimitte turbas […] Congeda la folla […]» (Lc 9, 12). Hanno, forse, timore e non sanno davvero come sfamare un numero così grande di persone. Osservava al proposito il Servo di Dio Giovanni Paolo II, un analogo atteggiamento potrebbe insorgere nell’animo nostro, quasi sconfortato dall’enormità dei problemi, che interpellano le Chiese e noi Vescovi personalmente. Occorre, in questo caso, fare ricorso a quella nuova fantasia della carità che deve dispiegarsi non solo e non tanto nell’efficienza dei soccorsi prestati, ma più ancora nella capacità di farsi vicini a chi è nel bisogno, permettendo ai poveri di sentire ogni comunità cristiana come la propria casa(cfr. Esort. Ap. Post. Sinod. Pastores Gregis, n. 73).Il Signore ci renda capaci di fare della Sua casa, una casa di preghiera, e così poter realizzare poi una casa di carità, dove ogni uomo sia accolto, cresciuto, custodito, amato. Così da sperimentare quell’amore che è anticipo e preludio, fondamento della speranza della vita eterna!
In questo giorno ci affidiamo alla Vergine Maria, Madre della Chiesa e Regina degli Apostoli. Ella, che nel Cenacolo sostenne la preghiera del Collegio apostolico, ci ottenga la grazia di non venire mai meno alla consegna d’amore che Cristo ci ha affidato. Intercedano per noi San Bernardino, San Cerbone, Santa Caterina da Siena, San Giuseppe, i beati Pietro e Paolo, il Santo vescovo Carlo Borromeo. Amen.
Sia lodato Gesù Cristo.
+ Carlo Ciattini